Terminata la spedizione Polarquest 2018 della barca a vela Nanuq, ha inizio l'analisi dei campioni di acqua raccolti a latitudini estreme. Basta un'analisi visiva per rendersi conto della quantità di rifiuti plastici presenti nel mare e sulle spiagge dell'Artico.
Un laboratorio scientifico galleggiante, la circumnavigazione dell'Arcipelago delle Svalbard e un team eterogeneo di validi ricercatori. La barca a vela Nanuq, impegnata nella spedizione Polarquest 2018, è rientrata in porto lo scorso 4 settembre, al termine di 1500 miglia percorse in 18 giorni di navigazione. Ma qual è stato l'intento del viaggio, promosso in occasione del novantesimo anniversario della storica spedizione al Polo di Umberto Nobile e del Dirigibile Italia? Verificare, grazie alle tecnologie e alle competenze di prestigiosi partner scientifici, la salute delle acque e dell'ecosistema artico.
Tra gli specifici scopi scientifici della spedizione, c'era il progetto Nanuq-MANTANET, ideato per raccogliere campioni di acque alle latitudini più estreme e verificare così la presenza di microplastiche e microfibre in mare. La missione deve il proprio nome alla tecnologia Mantanet, un sistema che ha prelevato i campioni d'acqua nei primi 16 cm dalla superficie e sotto a 6 metri, allo scopo proprio di individuare microplastiche e comprendere l'ampiezza di un problema che richiede la massima attenzione.
Avendo tempi di degradazione estremamente lunghi, la plastica immessa negli oceani può infatti raggiungere e accumularsi in aree remote come i poli minacciando le reti alimentari marine, e non solo.
Ebbene, la situazione è tutt'altro che rosea. Il team di ricerca ha infatti reso noto come, a valle di un totale di 30 campionamenti a latitudini record (uno è stato effettuato persino a 82°N, ai limiti della banchisa), si sono potute trarre conclusioni da una semplice analisi visiva: anche a latitudini estreme, la quantità di plastica che soffoca oceani e spiagge, per quanto remote e isolate, è stupefacente.
Per numeri e dettagli specifici, occorrerà attendere i risultati delle analisi sui campioni, che saranno effettuati dai laboratori di Lerici (La Spezia) dell’Istituto di Scienze Marine (Ismar) del Cnr.
“In collaborazione con colleghi dell’Istituto per l’ambiente marino-costiero (Cnr-Iamc)” ha dichiarato Stefano Aliani, responsabile Cnr-Ismar di La Spezia“studieremo il biofilm proprio della superficie delle microplastiche. Si tratta di un insieme organismi e batteri che costituiscono un sottile film di organismi viventi trasportati sulla plastica. La composizione specifica di questo strato vivente è ignota e costituisce un nuovo microecosistema identificato solo recentemente: la plastisfera”.
Le microplastiche non sono gli unici rifiuti che si conservano a lungo nell'ambiente. Altri nemici invisibili sono i bifenili policlorurati (PCB). Utilizzati in moltissime produzioni industriali, dalla plastica ai lubrificanti, il loro uso è stato limitato notevolmente dagli anni Settanta e Ottanta perché cancerogeni. Insapori e inodori, contengono carbonio, idrogeno e cloro. Un mix pericoloso, il cui periodo di decadimento va dai 94 giorni a 2.700 anni.
In questo quadro poco confortante, la spedizione Polarquest porta un monito e un messaggio che, a dispetto della dimensione delle particelle incriminate, nulla hanno di microscopico: la salvaguardia dell'Artico, “ultima frontiera di natura selvaggia e incontaminata” della Terra, è presupposto fondamentale e imprescindibile per un futuro sostenibile.