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Ferdinando Boero ricorda Della Croce e Faranda a pochi giorni dalla scomparsa

Ad un giorno di distanza si spengono Norberto Della Croce e Francesco Maria Faranda. Con loro se ne va la prima parte della storia dell'ecologia italiana. Il ricordo di Ferdinando Boero, professore presso l'Università di Lecce ed associato ISMAR.

Monday 13 June 2011

Ferdinando Boero ricorda Della Croce e Faranda a pochi giorni dalla scomparsa

 

 

 

 

 

 

Il ricordo di Ferdinando Boero

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Norberto Della Croce

Ho già fatto troppi necrologi per la SIBM, ultimo quello di Eugenio Fresi. Mi ero ripromesso di non farne più ma oggi ricevo la notizia della scomparsa di Norberto Della Croce, e non ce la faccio a mantenere il proposito.

L'ho incontrato per la prima volta nel 1971, quando ero studente. Momenti che ho già descritto nel ricordo, sempre per la SIBM, di Annamaria Carli. Con Della Croce ho scritto il mio primo lavoro:

Della Croce N., Boero F. 1976. Ecologia e biologia dei porti del Mar Ligure e Alto Tirreno. Aspetti termici del Golfo di La Spezia. IIIes Journées d’Etudes Pollutions: 125-131.

Avevo partecipato a una crociera oceanografica con lui, e una domenica, giorno in cui la nave restava in porto, e tutti facevano vacanza, mi aveva chiesto se volevo dargli una mano. E così uscimmo con una barchetta e misurammo transetti di temperatura a partire dagli scarichi di acqua calda della centrale ENEL. Io calavo il termometro e leggevo il valore, lui scriveva il brogliaccio. Poi abbiamo passato diversi sabati pomeriggio, in Istituto, a costruire le isoterme e a scrivere il lavoro. Non ero suo studente, facevo la tesi con la Carli, ma eravamo diventati amici. Io vestivo da contestatore, lui aveva giacca e cravatta. Non approvava il mio abbigliamento e i miei capelli lunghi. Quando andai a fare l'esame di Oceanografia io ero vestito in modo informale e lui sudava, tutto incravattato. Mi disse che mi avrebbe dato 29, oppure avrei potuto andare il giorno dopo, con un abbigliamento consono alla solennità di un esame. Scelsi di ripetere l'esame. E mi presentai il giorno dopo, con tanto di giacca e cravatta. Sudavo. L'esame si tenne nel suo ufficio-laboratorio. Della Croce era in canottiera, mi fece accomodare e cominciò a rifarmi l'esame. Con altre domande. Mentre rispondevo, andò al lavandino e si insaponò la faccia, poi cominciò a farsi la barba. E io ero lì, seduto, a rispondere sui duomi salini. Finita la barba finì anche l'esame. E mi diede trenta. Posso dire che in quel momento diventammo amici. E lo siamo rimasti per sempre. Mi diede sempre buoni consigli. Magari non condivisibili, ma comunque utili. Sin dall'anno di alurea, il 1976, andai sempre alla SIBM, per me era la società scientifica di riferimento. Però, quando diventai ricercatore, nel 1981, scelsi il gruppo concorsuale Zoologia. Ovviamente, visto che il mio vero capo era Michele Sarà. Della Croce mi disse che la mia futura carriera sarebbe stata in Zoologia, vista la scelta che avevo fatto, e che non avrei avuto futuro in biologia marina, allora sotto l'egida del gruppo concorsuale Ecologia. Io non capivo queste storie dei gruppi concorsuali. Ma allora si costruirono steccati tra le varie discipline e quello che eravamo non era deciso dalla nostra produzione scientifica, ma dall'appartenenza al gruppo concorsuale. Inutile andare a SIBM, AIOL, SItE, io dovevo andare all'UZI. Così mi disse Della Croce in una delle nostre discussioni del sabato mattina. E così cominciai a partecipare all'UZI. Non era esaltante (spero che i soci UZI mi perdonino, sto parlando di trent'anni fa). Si parlava di formiche e di stambecchi. Oppure di ultrastruttura dell'organo sottocommissurale della lampreda. Mare... praticamente assente. Mi sentivo davvero un pesce fuor d'acqua. Ma il consiglio era buono. Nel 1987 mi presentai ai concorsi ad associato, sia in ecologia sia in zoologia. Il concorso di zoologia lo vinsi, mentre a quello di ecologia non fui neppure ammesso alle prove orali. E gli zoologi furono macellati per l'ardire di aver osato presentarsi in ecologia.

Della Croce mi offrì persino di farmi tornare a Genova, da Lecce, dove mi ero trasferito, armi e bagagli, da associato. Ma avrei dovuto passare all'ecologia!!!! Io lo prendevo in giro, perché i suoi lavori più rilevanti erano di zoologia: i cicli dei cladoceri marini, con gli stadi di resistenza. Faceva finta di arrabbiarsi quando glielo rinfacciavo. Soprattutto perché poi mi ero messo a fare anch'io stadi di resistenza, ma da un punto di vista ecologico! E quindi lui era zoologo e io ero ecologo! Si era trasferito nella Villa Carmagnola, a Santa Margherita Ligure, e aveva lì il suo quartier generale: l'Istituto di Scienze Ambientali Marine. Ai giovani che venivano a Zoologia e chiedevano di fare la tesi, io consigliavo di andare da Della Croce. Noi avevamo già Bavestrello e Cerrano, precari, e i "bravi" avrebbero trovato difficile continuare nella carriera (iniziavo a pensare come Della Croce). E così gente come Roberto Danovaro e Simonetta Fraschetti andarono a fare la tesi con Della Croce o con i suoi più stretti collaboratori, Giancarlo Albertelli e Mauro Fabiano. Penso di aver dato un buon consiglio.

Memore dell'imprinting del primo lavoro con Della Croce, volli fare lo stesso con Danovaro. Il suo primo lavoro è con me. Uno scherzo che ho fatto a Della Croce, che mi diceva sempre: si ricordi, Boero, che il suo primo lavoro l'ha fatto con me!

Con Della Croce c'era Nicolino Drago. Un vero zoologo. Nicolino era tecnico, non aveva mai voluto laurearsi, ma sapeva le "bestie" come pochi. Policheti e anfipodi non avevano segreti per lui. Aveva un amore-odio per Della Croce. Perché a Della croce piaceva vessare le persone che gli piacevano. Le metteva alla prova. Veramente, Della Croce vessava tutti. Quando aspettava di trasferirsi a Santa Margherita, insofferente di restare confinato in due stanzette a zoologia, prese due grossi bauli pieni di materiale oceanografico e li incatenò all'ingresso del palazzo di Via Balbi, sede del Rettorato. Non sapeva dove metterli, e quindi li mise lì. Francesco Faranda, in quegli anni, si trasferì a Genova e gli diede una grandissima mano a sviluppare le scienze marine. C'era il GROG (Gruppo Ricerche Oceanologiche Genova) e poi l'AIOL e poi il CoNISMa. I semi erano lì e ancora oggi viviamo di quella storia. Faranda è un diplomatico ecumenico, mentre Della Croce era un polemico impetuoso. Tra i due, come con Nicolino Drago, si instaurò un altro rapporto di amore-odio. Ogni tanto facevano scintille, ma si rispettavano e si volevano bene. Della Croce scriveva libri, sulle cose più svariate. E lo aiutava il suo ricercatore, il dr Petrillo. Quante ne ha passate anche lui. Però Della Croce era sempre allegro, anche quando era arrabbiato, e, a saperlo prendere, era una persona deliziosa. A me piaceva molto, anche se so che questo sentimento non era condiviso dai più.

Nel tempo che passavamo sulle navi oceanografiche, quando ero studente, mi raccontò molti aneddoti della sua vita.

Quello che ricordo di più, e che mi fa sempre ridere, è questo:

Della Croce non era molto religioso ma, da bambino, aveva frequentato la parrocchia di Monterosso, suo paese natale. E gli avevano affidato, incautamente, l'incarico di portare la croce che sarebbe stata subito dietro il parroco, durante una processione. Il parroco celebrò la messa e poi, dall'altare, si incamminò verso l'uscita, seguito da Della Croce bambino, con questa lunga asta che alla sommità portava un crocifisso d'argento. L'asta era lunga, perché tutti dovevano vedere il simbolo della cristianità, durante il tragitto processionale. La porta della chiesa era bassa, però. E l'asta col crocifisso non ci passava. Bisognava abbassarla. E Della Croce, bambino, l'abbassò. Verso la testa del parroco che, in pompa magna, stava incedendo alla testa della processione. Uscito dalla porta, Della Croce, bambino, cercò di rialzare il crocifisso, ma invano. Era troppo per i suoi piccoli muscoli. E il crocifisso franò in capo al parroco, per fortuna protetto dalla mitra d'ordinanza. Sconcerto nella folla di fedeli. Fine della carriera religiosa di Della Croce, al quale fu tolta la croce.

Ne aveva tante di storie come questa, la sua vita ne era costellata. Un amico comune, Tassos Elefteriou, me ne raccontò tantissime, con le lacrime agli occhi dal tanto ridere.

Della Croce era un duro dal cuore tenerissimo.

Ah, il mio ritorno a Genova non andò in porto. Qualcuno, non ho mai saputo chi, pose un veto e lui, che passava per un dittatore, lo rispettò. Quando dovette comunicarmelo era così mortificato. Non lo potevo vedere Della Croce mortificato. Gli strinsi la mano e lo abbracciai. Per me restava un amico, quello che mi aveva fatto scrivere il mio primo lavoro. Sono cose che non si cancellano mai.

E' triste che non ci sia più, però se mi volto indietro vedo tante cose belle, che mi fanno sorridere. Della Croce era "grande" come dicono qui a Lecce per dire che uno è avanti negli anni. E' naturale che a questo punto si tolga il disturbo. Lui lo ha fatto in silenzio, con dignità. Ora, se mi guardo indietro... non trovo quasi più nessuno di quelli che hanno segnato l'inizio della mia vita scientifica. A questo punto Della Croce si farebbe una bella risata e, col suo borbottio incomprensibile (ma non a me) mi direbbe: Boero, stia attento, che ora tocca a lei! Piano un momento, direi io, con calma, con calma....

 

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Francesco Maria Faranda

Ieri ho scritto un ricordo di Norberto Della Croce, e oggi Angelo Tursi mi manda un messaggio e mi dice che Francesco Faranda non ce l'ha fatta a superare l'ennesima crisi. Faranda e Della Croce hanno vissuto assieme una lunga storia, quando Francesco, Ciccio per gli amici, si trasferì a Genova da Messina, e aiutò Della Croce a costruire l'Istituto di Scienze Ambientali Marine. Insieme fecero molte cose, e diedero un'impronta indelebile alle scienze marine nel nostro paese. Il CoNISMa, l'asse portante del sistema universitario impegnato nelle scienze del mare, lo hanno fatto loro, con l'AIOL come inoculo iniziale, e con sede proprio a Santa Margherita. Della Croce andò in pensione e si tirò indietro. Faranda rimase sulla breccia, fino alla fine.

All'inizio i miei rapporti con lui furono burrascosi. Ero a Lecce, e stavo lavorando per fondare dal nulla un gruppo di scienze del mare. Nel corso del progetto RELASUD, che portò molte risorse a università meridionali, io fui completamente ignorato. E protestai. Restando completamente ignorato. Faranda non provava grande simpatia per me. Poi ci fu un INTERRG Italia Grecia, e Faranda non voleva che fossi io il coordinatore, anche se il coordinamento "toccava" alla mia università. Facemmo scintille per qualche mese, ma poi, consigliato da altri (non posso dimenticare Silvano Focardi), accettò. Ma mi stette con il fiato sul collo. Cominciammo a conoscerci, e io imparai ad apprezzare quell'omaccio, riverito da tutti. Faranda non aveva un argomento di ricerca preferito. Non era uno scienziato-tecnico. Era un manager della scienza. Aveva la visione generale e non privilegiava nessun argomento. I grandi scienziati, di solito, quando si trovano a gestire qualcosa, privilegiano il proprio approccio, e mettono in seconda fila tutti gli altri. Spesso lo fanno anche gli scienziati che non sono grandi. Anzi, mi correggo, quelli grandi non lo fanno. Mettendo in piedi l'INTERREG, Faranda guardava lontano. Aveva in mente tutti gli expertise del CoNISMa e cercava di valorizzarli tutti. Rintuzzando la mia piccola visione, incentrata sulle cose che facevo "di mestiere".

Mi ha insegnato l'umiltà. Cosa non facile. Forse è quello che mi ha insegnato più di tutti. Un giorno mi disse: la nostra reputazione è quello che gli altri dicono di noi. Non me lo sono mai dimenticato. Così, nel 2000, è cominciata la nostra amicizia. Progetti, riunioni, strategie. Mi ha voluto nella Giunta del CoNISMa e abbiamo vissuto un periodo molto intenso, fianco a fianco. Ci vedevamo sempre. Gli sono stato vicino quando è mancata sua moglie. E mi ha raccontato la loro storia, come l'ha conosciuta. Era sempre innamorato di lei, e lei di lui. Fino alla fine. Io cercavo di tenerlo allegro e, anche se a me le barzellette non piacciono molto, scoprii che alcune lo facevano ridere. Come quella dell'ubriaco che beve vino bianco. Non la posso scrivere. Però ogni tanto mi chiedeva di raccontarla. Soprattutto se eravamo a tavola, e ci servivano vino bianco. Aspettava la battuta finale con ansia, e poi piangeva dal ridere. Asciugandosi il sudore. Mi piaceva farlo ridere, vederlo allegro. Così se venivo a conoscenza di qualche barzelletta di quel tipo... la tenevo in serbo per lui.

Quando l'Università di Palermo gli diede la laurea honoris causa lo aiutai a fare la lectio magistralis. Mi chiede un'opinione sul suo scritto. Fu un bellissimo regalo che mi fece. E andai alla cerimonia per fargli vedere che gli ero vicino, che ci tenevo a lui. C'erano molte assenze a quella cerimonia. Persone "miracolate" da lui, nella carriera e nei fondi, non si fecero vedere. Ma molti altri sì. Io non sono stato "miracolato" da Faranda, né nella carriera né nei fondi e quindi credo di essere abbastanza obiettivo nel descriverlo.

Con Cesare Corselli, il suo successore, fece scintille, così come le faceva con Della Croce ai tempi di Santa Margherita. Ma si volevano bene. Nel CoNISMa era un padre, a volte un po' padrone. Ma tutti vedevano che ci metteva il cuore in quel che faceva. E tutto gli era perdonato. Fece costruire la nave Universitatis, trovando i soldi per farla. Ma poi non riuscimmo a trovare i soldi per mantenerla, e così abbiamo dovuto venderla. Questa cosa gli bruciava, non si voleva rassegnare. La nave. Per lui l'Università era come la Chiesa per un Papa. E lui era il papa. L'Università. Da difendere da tutto e da tutti, con le unghie e con i denti. Non posso dire che abbia fatto tutto bene, che tutto sia andato per il meglio. Ha fatto talmente tante cose, Faranda. Ma penso che, strategicamente, abbia fatto bene. Le Università italiane, con i progetti promossi da lui, si sono dotate di strutture e di attrezzature, anche di personale. Magari non tutte le scelte sono state oculate, ma solo chi non fa nulla può vantarsi di non aver fatto errori (ma non far nulla è un grossissimo errore). Faranda faceva, in modo incessante. Pensava, cercava, scriveva, andava a riunioni, chiedeva incontri, convocava assemblee, comitati, gruppi di lavoro. Per fare progetti, per potenziare strutture. Era la sua vita.

Aveva problemi di salute. Rimasto vedovo, erano venute a mancare le amorevoli cure di sua moglie. E lui sembrava quegli eroi che cercano la pallottola, per morire sul campo. Se era malato, chiamava tutti a Tortorici, o a Milazzo, e si facevano riunioni con lui attaccato alla bombola di ossigeno. Appena guarito, si fa per dire, tornava a Roma. Dal suo CoNISMa. Aveva smesso di fumare (quante sigarette gli ho scroccato) ma non aveva smesso di mangiare. E di lavorare.

E' morto a un giorno di distanza dal suo vecchio amico Della Croce. Mi fa sorridere questa coincidenza.

Della Croce ha fatto come gli elefanti, che si nascondono al momento estremo, e nessuno trova il loro cimitero. Faranda no, non era nel suo stile. Faranda ha combattuto fino alla fine, come un capodoglio in un romanzo di Melville. Capone, che lo ha seguito in tutta la storia del CoNISMa (Faranda diceva sempre: Capone è la memoria storica del CoNISMa), mi ha detto che lo hanno ricoverato per forza. Non voleva andare in ospedale. Aveva troppo da fare. E infatti l'ho incontrato a Roma poco tempo fa, sempre impegnato a disegnare il futuro della sua amata università.

Angelo Tursi ha iniziato un nuovo ciclo nel CoNISMa, e ha riallacciato i rapporti con il CNR. Credo che sia un grandissimo bene. E i risultati si vedono. Faranda approvava, ma, sotto sotto, non si dava pace. L'Università viene prima di tutto! Giusto, Francesco, ma ce lo dobbiamo meritare. Tutti passano da noi. "Quelli del CNR" li abbiamo formati noi. Sono nostri figli. Ed è bello anche vedere che i figli superano i padri, no? Nooooo. Questa proprio non gli andava giù. Sbagliava, come ha sbagliato tante volte, ma sul piatto della bilancia del bilancio di una vita gli errori pesano senz'altro meno delle cose giuste e, alla lunga, i frutti della sua azione si vedono e continueranno a vedersi per tanto, tanto tempo.

Andremo avanti e dovrà essere impegno di tutti a che quest'uomo non sia dimenticato. Magari intitolandogli il suo amato consorzio.


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