Luigi Michaud: un ricordo
Il ricordo del ricercatore, recentemente scomparso in Antartide, scritto dal collega ed amico Gian Marco Luna (ISMAR Venezia)
Tuesday 18 February 2014
Giugno 2011: Luigi Michaud (il secondo in piedi da sinistra) insieme ai colleghi della SItEMicro e i docenti stranieri del corso in Ecologia Microbica organizzato a Villa Pace, Università di Messina.
Dicono che ricordare la scomparsa di un collega ed amico, specialmente se avvenuta nel pieno della vita, improvvisamente, a 40 anni, sia difficile. Nel caso di Luigi, non lo è affatto. Anzi, paradossalmente la cosa è di una semplicità incredibile. Semplicemente perché la morte di Luigi è qualcosa di irreale, surreale, fantastico, insomma non sembra sia avvenuta sul serio. Viene quasi da pensare che Luigi possa ricomparire da un momento all’altro, prendendosi gioco di noi, svelando che in fondo si trattava di uno dei suoi soliti e simpatici scherzi.
Così come tutto appare surreale nel suo insieme, assurdo, indefinito. La telefonata la mattina di quel diciassette Gennaio ad annunciarmela, di botto, la voce incredula dei miei colleghi dall’altro lato del telefono. Surreale cercare notizie sulla rete, poi vedere il servizio sui telegiornali di Raiuno e Raidue la sera stessa, la foto di Luigi a tutto schermo con indosso la tuta rossa del PNRA, così fiero, imponente, le braccia in vita, il suo faccione sorridente, la voce della giornalista sullo sfondo a descrivere l’accaduto. Surreali le tre settimane passate nell’attesa del funerale, attendendo notizie sul rientro della salma, ragionando con gli altri colleghi sulle cause della morte, un malore, un problema all’attrezzatura, chissà, ma in fondo cosa importa. Irreale il viaggio verso Messina per assistere alla cerimonia funebre, al buio nella cuccetta dell’Intercity Notte con l’amico Stefano a discutere proprio di questo: Luigi non c’è più, ma è accaduto sul serio? Surreali i dieci minuti trascorsi nel suo ufficio, il giorno prima della cerimonia. Mi guardo intorno, e ne osservo il caotico disordine, perfettamente in linea con il carattere di Luigi, i cartellini di mille congressi appesi al muro, le foto della sua famiglia e quelle di spedizioni ai due Poli, pile di articoli e fotocopie. Tutto lasciato lì, fermo, sospeso, in attesa di riprendere la routine una volta rientrato dall’Antartide, come già successo altre cinque volte, con nuovi campioni da processare, decine di ceppi da caratterizzare, altre pubblicazioni da scrivere. Surreale pranzare con i suoi numerosi allievi (tesisti, dottorandi, assegnisti), tutti così giovani e così spaesati, i loro sguardi persi, la consapevolezza di aver perso molto più di un semplice supervisor. Inverosimile vedere la bara, così grande nell’Aula Magna dell’ateneo messinese, pensare che al suo interno ci sia Luigi, e lo immagino anche lì dentro vestito con la sua immancabile tutona antartica. Mentre sulla parete dell’Aula scorrono le immagini della sua vita: Luigi al bancone di un laboratorio, sott’acqua, con il figlio Carlo oppure abbracciato ad Angela, con la piccola Sophie tra le braccia, in ambulanza a fare il volontario con la Croce Rossa, al polo con la bandiera “No al ponte”. E ancora, Luigi da bambino, con lo sguardo da furbetto ed i capelli neri a caschetto, da adolescente in canoa, e non ce n’è una, dico una, in cui non appaia con il sorriso stampato sul volto.
Eppure è tutto maledettamente vero, ed ora che la cerimonia è finita e l’aereo mi sta riportando a casa, guardo il cielo sopra le nuvole e realizzo che Luigi non c’è più davvero, anche se è così assurdo da accettare. Perché Luigi era quanto di più lontano si potesse immaginare dal concetto di morte. La sua incontenibile voglia di vivere, un’energia che a volte pareva infinita, incanalata in mille direzioni, la ricerca microbiologica e la famiglia in primis, l’amore per Angela ed i figli, il volontariato, le immersioni, lo sport, l’attività di guida turistica, e chissà ancora quali hobby ancora di cui noi colleghi non eravamo a conoscenza. Faceva anche la guida per ricchi turisti stranieri, e lui scherzando la definiva la vera alternativa alla carriera da ricercatore. Nel caso non fosse riuscito ad ottenere quel posto stabile nel mondo della ricerca italiana, tanto desiderato e strameritato (basta guardare la sua lista di pubblicazioni scientifiche in Google Scholar, superiore a quello di molti docenti di ruolo del suo settore). La sua maturità scientifica era tale da “conferire una posizione riconosciuta nel panorama almeno nazionale della ricerca di settore”, come scritto dalla Commissione nella sua abilitazione a professore di seconda fascia in Ecologia, ottenuta e pubblicata – per uno strano scherzo del destino – pochi giorni dopo la sua morte.
Purtroppo un destino beffardo lo attendeva in uno dei luoghi da lui più amati. E mentre lo ricordo, scorro tutte le email che ci siamo inviati, pervase dal suo inconfondibile stile e dal suo ottimismo, che lo spingevano ad andare avanti con sempre nuove idee, nuovi progetti, nuove iniziative. Luigi non mollava, animato dalla sua immensa passione per la ricerca e, credo, motivato anche dalla fortuna di condividere questo meraviglioso lavoro con la moglie Angela, la persona che da sempre amava. Il posto da ricercatore non arrivava, ma Luigi era stimolato a lavorare di più, a pubblicare di più, quasi a dimostrare al mondo che quel posto all’Università non gli era dovuto, ma lo meritava. Ricordo la volta che mi telefonò per dirmi che mi aveva superato in Scopus come numero di pubblicazioni. Mi prendeva in giro, e potevo sentire il suo orgoglio quasi fosse lì con me. Perché Luigi era innamorato del suo lavoro, ed era un ricercatore vero, di quelli che hanno capito come va svolto il nostro lavoro: fare della buona ricerca, comunicare al mondo i risultati ottenuti, scrivere progetti di ricerca, fare network con la comunità scientifica nazionale ed internazionale, formare giovani ricercatori.
Ho conosciuto Luigi nel 2007 ad un congresso ad Ancona, durante una riunione in cui si discuteva la creazione di un nuovo gruppo di lavoro sull’ecologia microbica. Era difficile non notarlo, per la sua presenza, non solamente fisica. Era la riunione da cui sarebbe nata la sezione di Ecologia Microbica (SiteMicro) all’interno della SItE. Da allora le nostre vite e quelle degli altri fondatori (Gianluca, Stefano, Manuela, Imma) si sono intrecciate, ed è stato un susseguirsi di incontri, telefonate, email o skyppate per pianificare le attività dell’associazione, organizzare corsi per giovani ricercatori (memorabile quello da lui organizzato a Messina nel Giugno del 2011), scrivere la newsletter, scambiarsi idee ed opinioni, organizzare campagne oceanografiche. Luigi era un vulcano di idee, magari qualche volta lo vedevi scomparire per giorni (perché sopraffatto dagli altri impegni) per poi rientrare con mille idee, tanto che spesso qualcuno doveva placarlo, riportandolo alla realtà ed alla concretezza della vita reale. Perché per Luigi la giornata non aveva 24 ore, ma forse 36, o 48, tanto era il tempo che tutti noi credevamo fosse necessario per realizzare tutto quello che riusciva a fare.
Ed ora che penso a tutto questo, se penso alla bara di Luigi avvolta nella grande bandiera italiana, mi sale una grande tristezza per aver perso una persona speciale, per il dolore che proveranno Angela ed i piccoli e tutte le persone che lo conoscevano. Ma sento salirmi dentro anche un po’ di rabbia, se penso alla motivazione che aveva Luigi, e a quella che invece non hanno alcuni ricercatori improduttivi. Penso a quelli che, a differenza di Luigi, hanno avuto il privilegio di trovare un posto fisso nel mondo della ricerca, e spesso non fanno abbastanza per meritare il posto che hanno, non pubblicano, non scrivono progetti di ricerca, non si impegnano quanto dovrebbero per meritare il privilegio di svolgere uno dei lavori più belli al mondo. Non infondono nel lavoro le giuste energie e lo stesso entusiasmo (ne basterebbe un decimo di quello di Luigi). Demotivati, si adagiano su mille scuse, oggi la carenza di fondi, domani quella di strutture, dopo domani forse ce ne sarà un’altra. E’ vero, le strutture ed i fondi sono certamente scarsi, ma questo non può certo essere una scusa per sedersi. Luigi lottava per fare questo lavoro, e di certo meritava un posto da ricercatore. Non aveva fondi sicuri per fare ricerca (come d'altronde anche i ricercatori stabili), e non godeva del privilegio di uno stipendio sicuro a fine mese; e per continuare a fare il lavoro che amava, era capace di sacrificare giorni o week-end lontano dalla famiglia, a raccontare ai turisti stranieri la storia di Taormina o le curiosità dell’Etna. E come lui, molti miei colleghi ancora precari, bravissimi e con curricula eccellenti, e chissà quante centinaia o migliaia ce ne sono in Italia, in attesa di trovare una collocazione, che forse non arriverà mai. Magari perché occupata già, per tutta la vita, da persone che fanno troppo poco per meritarla.
Ecco, se penso a tutto questo, la rabbia mi sale ancora di più, e mi sembra l’ennesima ingiustizia, l’ennesimo tassello storto di questo sgangherato Paese, e della sua surreale, eppure grande bellezza. Forse è meglio se smetto di scrivere. Con la speranza che il ricordo di Luigi ci possa insegnare qualcosa, e serva da stimolo, a tutti noi, per migliorarsi.
Ci mancherai caro Luis. Non ti dimenticheremo.
Gian Marco